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SIAMO quello che FACCIAMO

Buonasera Cuori Ribelli,

oggi vorrei parlarvi di che tipo di lettore sono anche se, molto probabilmente, un’idea ve la siete già fatta.

Non avendo molto tempo libero, scelgo con estrema attenzione come impiegarlo e, a differenza di quanto facevo quando ero più giovane, evito di intraprendere letture di libri che, molto probabilmente, non mi lasceranno nulla.

Perché è così, no? O almeno è così per me. Sono pochissimi i libri che mi lasciano davvero qualcosa. I più finiscono nel dimenticatoio e a me spesso capita di regalarli. Ho regalato buste piene di libri a diversi amici.

In genere tengo solo quelli ai quali mi lega una questione affettiva, perché magari me li ha regalati qualcuno di importante, oppure tengo quelli che so che potrei rileggere, perché in essi ho trovato qualcosa che vale la pena tenere. Non ho il culto dei libri come forma di ostentato arredamento culturale. Il loro posto non è in una libreria, ma nella mia testa. Se mi rimangono in testa è segno che ho fatto un buon acquisto.


A me piacciono i libri per i quali posso rintracciare un cordone ombelicale con l’autore. Non amo leggere volumi completamente scissi dalla vita di chi li ha prodotti. Mi piace pensare e vivere un libro come un’estensione dello scrittore, perché in questo modo è come se lui mi avesse donato qualcosa di sé, di autentico, e non semplicemente una fantasia.


Se Cent'anni di solitudine non fosse stato scritto da un uomo colombiano, non sarebbe mai stato il libro che (spero) tutti conosciamo. Lolita non poteva che essere frutto dell'immaginario di un insegnante di letteratura russa, un uomo sinestesico, che all'epoca della pubblicazione del romanzo aveva già superato i 50, e con l'ossessione per il sesso. Rimanendo in Italia, invece, credete che un'opera come Il Gattopardo sarebbe stata quello che è oggi se fosse stata scritta da una donna romana? No. Quel romanzo, che ci presenta una Sicilia risorgimentale, è quello che è perché l'ha scritto un siciliano, appartenente a una famiglia di aristocratici. Jane Eyre non sarebbe il romanzo di formazione che tutti abbiamo letto durante l'adolescenza, se non fosse nato dalla penna di Charlotte Brontë. La scrittrice inglese nutre la vicenda ripercorrendo anche fasi della propria esistenza. A 8 anni la Brontë frequentava una scuola per figli di ecclesiastici le cui condizioni igieniche le rovineranno la salute e causeranno la morte di due delle sue sorelle. Diventata adulta Charlotte svolgerà la professione di istitutrice presso alcune famiglie benestanti. Siamo davvero sicuri che il suo romanzo più famoso sia frutto del magico ingrediente dell'empatia o convenite con me che tutti i grandissimi autori citati sopra (e credetemi ce ne sono centinaia, potremmo scriverne per ore) hanno portato la propria vita nei loro testi ed è per questo che essi sembrano così reali?


Dichiarare il contrario equivale a mistificare intenzionalmente la realtà.


Quello di cui sono assolutamente convinto è che abituarci a nutrire la mente con fantasie completamente sconnesse dalla realtà nella quale si vive o nella quale vive o viveva l'autore sia un’abitudine sterile e potenzialmente pericolosa.


L’arte deve fornire chiavi di lettura, ma se nutriamo la mente di situazioni irreali ci potremmo ritrovare con una visione distorta di quella che dovrebbe essere la società nella quale viviamo.


Quando non c’è nessuna connessione tra le storie raccontate e la vita o la provenienza degli autori, ci potremmo ritrovare davanti a opere stilisticamente piacevoli, ma senza alcun fondamento o ragione di esistere. Leggere certe cose, nella maggior parte dei casi, vuol dire intossicarsi la mente. Iniziate a prendere informazioni su chi scrive cosa e fatevi un’idea complessiva di cosa state leggendo. Prendetelo come un atto di responsabilità.

Bisognerebbe riscoprire un minimo di umiltà, come autori, e smettere di credere cose tipo “posso parlare di qualsiasi cosa semplicemente perché ne ho voglia”. Non c’è niente di più falso.


L’altro giorno, per esempio, ho letto il commento (esilarante) di una lettrice che, parlando della storia Male to Male scritta da un’autrice, affermava: incredibile come riesce a entrare nella mente di un uomo!

Una donna che decanta la capacità di un’altra donna di immedesimarsi in un uomo… beh, perdonatemi, ma se non sono numeri da cabaret questi…


Ma che ne sa, sia la prima che la seconda, di cosa passa nella mente di un uomo? NULLA, ecco la risposta, come io francamente ignoro cosa passa nelle menti di quelle due.


Ogni volta che leggo #mm sotto alcuni post mi viene da ridere e mi faccio sempre la stessa domanda: in un libro scritto da un'autrice, con personaggi che hanno nomi maschili, ma che si comportano da donne, dov'è esattamente il "Male"? Forse proprio nella scelta dei nomi...


Tralasciando il Male to Male, del quale ho già parlato a sufficienza prima di oggi, vorrei tornare al discorso del cordone ombelicale tra opera e autore per chiarire definitivamente la mia posizione in merito alla LETTERATURA LGBT.


Per quanto mi riguarda, si può parlare di letteratura LGBT solo se il libro proviene da esponenti della comunità LGBT (questo è un requisito fondamentale e, di conseguenza, imprescindibile) e solo se gli altri esponenti della stessa comunità riescono a identificarsi con quanto letto. Il resto è altro, non migliore o peggiore da un punto di vista stilistico, ma altro e fregiarsi del titolo di letteratura LGTB non è solo disonesto e fuorviante, ma è anche indiscutibilmente irrispettoso verso chi quella comunità la vive e cerca di difenderne la dignità.


Sapete anche voi che è così, non ci vuole un genio per capirlo.


Fermatevi un attimo a riflettere.


Che mondo volete?

Cosa state facendo per averlo?

Qual è il vostro contributo?


Siamo grandi, iniziamo a porci le domande giuste e poi capiamo da che parte vogliamo stare e cosa possiamo fare.

Io certe domande ho iniziato a pormele già da diverso tempo e sono dichiaratamente schierato.


So chi sono, cosa voglio, e ho assolutamente chiaro a cosa posso credere e a cosa no e del NO non me ne faccio nulla e non se ne fa nulla una comunità come quella LGBT che deve ancora scrollarsi di dosso una serie di preconcetti che certa letteratura spazzatura non fa altro che contribuire ad alimentare.

Non accetterò mai l’esistenza di certa roba.


Tutti hanno il diritto di esprimersi, ma l’arte non può prescindere da una responsabilità sociale che andrebbe salvaguardata da tutti gli individui adulti e pensanti.


Questo sono io come lettore e come uomo del tutto consapevole che ognuno di noi ricopre un ruolo a livello sociale al quale non può responsabilmente sottrarsi.


A tutti gli autori uomini che in privato sono d'accordo con me, ma che nella loro versione pubblica continuano a fare gli amici di tutti, chiedo di SVEGLIARSI e smettere di essere maschietti sono attraverso le vite dei loro personaggi.


Barattare quello che si è con quello che si pensa si potrebbe ottenere non è mai una buona idea.


Iniziamo a ragionare un po’ sulle cose che facciamo e diventiamo adulti e, possibilmente, degli adulti coerenti con quanto dichiariamo.


A presto Cuori Ribelli e felice Epifania,


Emiliano Di Meo

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